Bonus bebè negato alla mamma extra-comunitaria

Bonus Bebè | Anti-Discriminazione

Il lavoratore straniero non deve trovarsi in una posizione di svantaggio rispetto al lavoratore italiano.

Bonus bebè negato alla mamma extra-comunitaria. Beatrice non è cittadina italiana, ma vive in Italia ed ha appena avuto un figlio insieme al suo compagno.

Come tante famiglie, Beatrice e il suo compagno (cittadino comunitario) decidono di fare richiesta per ricevere il “Bonus Bebè“.

Presenta domanda alla pubblica amministrazione per poter ricevere l’assegno previsto come supporto economico per i nuovi nascituri, ma qualcosa va storto.

Il Bonus Bebè viene negato

Alla mamma di Alessandro viene infatti negato l’assegno di natalità ex art. 1, comma 125, L. 190/2015 in quanto priva di permesso di soggiorno illimitato di lunga durata.

La disposizione nazionale che pone lo straniero lavoratore in una posizione di svantaggio rispetto al cittadino italiano presenta però una evidente portata discriminatoria.  Tale illegittima può del resto riguardare anche gli atti e i comportamenti delle pubbliche amministrazioni, se ne presentano i presupposti.

All’esito del ricorso presentato da Beatrice il Tribunale di Lodi respinge il ricorso e conferma la scelta di rigettare la richiesta dell’assegno.

La famiglia però non desiste e impuga il rigetto avanti la Corte di Appello di Milano che, con chiara e articolata motivazione, .riforma l’ordinanza di primo grado e accerta la discriminazione.

Se il Bonus bebè è stato negato alla mamma solo in quanto extra-comunitaria, tale diniego è illegittimo

Per i Giudici di Milano questo diniego è illegittimo. Perché? Perché il rigetto di una domanda di prestazione rientrante nell’ambito della “sicurezza sociale” non può essere motivata dalla nazionalità del richiedente, ma deve essere riconosciuta a tutti i lavoratori, anche ai:

  • cittadini di paesi non europei che siano stati ammessi in uno Stato membro a fini diversi dall’attività lavorativa ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002;
  • ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale.

L’istituto è stato condannato quindi al pagamento della somma spettante.

Se vuoi conoscere la sentenza nel dettaglio richiedi attraverso la nostra pagina Contatti, la sentenza N1a (Corte di Appello di Milano, 29/05/2017, n. 1003 – RG. 1625/2016).