Discriminazioni, molestie, mobbing, stalking

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Discriminazioni, molestie, mobbing e stalking. Di cosa parliamo? Approfondimento in tre puntate.

Siamo in epoca di distanziamento sociale, imposto per rallentare la diffusione di un agente virale. Cosa si può dire per ciò che concerne la diffusione del virus dei comportamenti discriminatori, delle molestie sul luogo di lavoro o in altri contesti sociali?

Nell’indagine campionaria sulla “Sicurezza dei cittadini”, effettuata nel 2015-2016, l’Istat stima che siano 8 milioni 816mila (43,6%) le donne fra i 14 e i 65 anni che nel corso della vita hanno subito qualche forma di molestia sessuale. Il fenomeno ha riguardato anche tantissimi uomini.

Le molestie verbali sono la forma più diffusa, ma si rilevano anche molestie con contatto fisico o situazioni in cui le vittime sono state accarezzate, baciate contro la loro volontà̀. Emergono poi ricatti sessuali sul luogo di lavoro per essere assunte, per mantenere il posto di lavoro o per ottenere progressioni di carriera, e molestie attraverso il web, ossia proposte inappropriate o commenti osceni o maligni sul proprio conto attraverso i social network.

Contro gli agenti virali dobbiamo indossare dispositivi di protezione, adottare misure di distanziamento sociale e comportamenti per prevenirne la diffusione. Di quali strumenti disponiamo per tutelarci nei confronti di quelle forme di prevaricazione e abuso che recano pregiudizio tanto alla nostra integrità fisica, quanto al senso di dignità, eguaglianza e rispetto che ciascuno può legittimamente attendersi in ogni forma di interazione sociale?

Gli atti discriminatori – quadro normativo

Le vittime di discriminazioni, molestie, mobbing e stalking non hanno sempre ricevuto una tutele giuridica espressa. Esaminiamo, in questo primo articolo dedicato al tema, alcune norme volte a combattere gli atti discriminatori.

Lo statuto dei Lavoratori

Un primo presidio predisposto dall’ordinamento giuridico italiano contro gli “atti discriminatori” risale al famoso Statuto dei Lavoratori, ovvero la L. 20 maggio 1970, n. 300. Secondo l’art. 15, infatti:

“È nullo qualsiasi patto od atto diretto a: 

  1. a) subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte;
  2. b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.

La nullità riguarda anche patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso.

L’art.15, c. 2, dello statuto dei lavoratori è stato modificato e integrato:

  1. dalla legge 9 dicembre 1977, n. 903 (art. 13) sulla parità di genere;
  2. dal decreto legislativo n. 216/2003, (art. 4, c. 1), in attuazione della direttiva 2000/78/CE in materia di parità di trattamento.

A seguito di tali interventi, il divieto di cui all’art. 15 Stat. Lav. ricomprende anche atti diretti a fini di discriminazione “di sesso”, “di handicap”, “di età” o basati sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali di una persona.

Il testo unico sull’immigrazione

Ricordiamo anche l’art. 43, lett. e), D.Lgs. 25 luglio 1998, n.286, (Testo Unico sull’Immigrazione), il quale stabilisce che è vietato qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche indirettamente, i lavoratori in ragione della loro appartenenza ad una razza, ad un gruppo etnico o linguistico, ad una confessione religiosa, ad una cittadinanza.

Riassumendo, per quanto concerne le discriminazioni, l’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori si applica oggi a qualsiasi patto o atto diretto a fini di discriminazione:

  • sindacale
  • politica
  • religiosa
  • razziale, etnica o linguistica
  • per la cittadinanza
  • di sesso
  • connesse all’handicap
  • di età
  • basata sull’orientamento sessuale
  • basate sulle convinzioni personali.

La tutela rafforzata in caso di licenziamento discriminatorio.

La L. 28 giugno 2012, n.92 (“Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”, c. 42), ha modificato l’art.18 Stat. Lav. sul licenziamento, che prevede una tutela rafforzata per i casi di licenziamento discriminatorio.

Stabilisce infatti l’art. 18 che il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. Oltre al risarcimento del danno nella misura minima di cinque mensilità, il lavoratore può accettare, in luogo della reintegrazione, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione.

Tale tutela contro le discriminazioni è riconosciuta indipendentemente dal numero di lavoratori in azienda (anche se sono meno di 15), dalla data di assunzione del lavoratore discriminato (se dopo la riforma del job act e delle c.d. “tutele crescenti”) e dal tipo di contratto di lavoro in essere.

Nel prossimo articolo saranno approfonditi i temi delle molestie c.d. discriminatorie e delle molestie sessuali.

Avv. Matteo Bonini Baraldi

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