Molestie e molestie sessuali

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Discriminazioni, molestie, mobbing, stalking. Seconda Puntata.

Discriminazioni, molestie, mobbing, stalking: parliamo adesso di molestie, molestie discriminatorie e molestie sessuali.

Le molestie c.d. discriminatorie

Lo statuto dei lavoratori, anche nelle sue successive integrazioni, non poneva alcuna attenzione al fenomeno delle molestie.

Lo stesso dicasi per quanto concerne la prima legge in tema di parità di trattamento tra uomini e donne (L. 9 dicembre 1977, n. 903) e la seconda, ovvero la L. 10 aprile 1991, n. 125 (“Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro”); in nessuno dei due testi normativi si affrontò questa tematica.

È nel 2005, col d.lgs. 30 maggio 2005, n. 145, in attuazione della direttiva 2002/73/CE in materia di parità di trattamento tra uomini e donne, che vengono inseriti, all’art.4 della L. n.125/1991, due commi volti a vietare le “molestie” e le “molestie sessuali”. La formulazione è poi confluita nel d.lgs. 11 aprile 2006, n.198: il “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna”.

Prima ancora del d.lgs. 145 del 2005 e del codice sulle pari opportunità del 2006, già i decreti legislativi n. 215 e 216 del 2003, oltre ad aver modificato l’art.15, Stat. Lav., avevano predisposto un robusto presidio contro le molestie sul luogo di lavoro. Infatti, oltre a vietare la discriminazione, su cui non ci si soffermerà, entrambi i decreti stabiliscono che sono considerate discriminazioni anche le molestie: “quei comportamenti indesiderati, posti in essere per uno dei motivi di cui all’articolo 1, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”.

Soffermiamoci per un momento sul primo comma dell’art. 26, Codice delle pari opportunità, relativo alle molestie c.d. discriminatorie: “1. Sono considerate come discriminazioni (di genere, ndr) anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.

(Questa formulazione è ripresa dalla direttiva Ue 73/2002, la quale a sua volta riprende la medesima formulazione fatta propria dalle direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE sulla parità di trattamento).

Risulta pertanto che, ai sensi dei vari decreti legislativi citati, per la prima volta nel nostro ordinamento le molestie sono considerate come discriminazioni, e si identificano quei comportamenti indesiderati, posti in essere in base a:

  • razza o origine etnica
  • sesso
  • religione
  • convinzioni personali
  • disabilità
  • età
  • orientamento sessuale

La nozione di molestie discriminatorie, dunque, nasce con i decreti citati e viene poi ripresa dalla normativa sulla parità di genere.

La stessa nozione viene ripresa anche dalla L. 1 marzo 2006, n. 67 (“Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”) la quale, all’art. 2, c. 4, precisa che “sono considerati come discriminazioni le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità, ovvero creano un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità nei suoi confronti”.

Le molesti costituiscono quindi quei comportamenti indesiderati, posti in essere in base ad uno dei fattori protetti summenzionati, che hanno lo scopo oppure anche solo l’effetto di:

  • violare la dignità della persona,
  • creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.

Da sottolineare quindi che non è necessario che l’agente (il molestatore) abbia la finalità o intenzione di molestare, ma è necessario che entrambi gli effetti si verifichino, ovvero tanto la violazione della dignità della persona, che la creazione di un clima ostile.

Le molestie sessuali

Mentre le molestie c.d. discriminatorie sono state inserite per la prima volta nel nostro ordinamento, grazie ai decreti legislativi del 2003, con riferimento alle discriminazioni basate sulla razza o l’origine etnica e quelle basate su disabilità, età, religione o convinzioni personali e orientamento sessuale e sono state poi riprese dalla normativa concernente la discriminazione basata sul sesso e quella sulla disabilità, è importante rilevare che la nozione di “molestie sessuali” entra per la prima volta nell’ordinamento italiano proprio in forza della normativa sulla parità di genere.

Oggi, il comma 2 dell’art. 26 del codice sulle pari opportunità recita: “Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.

La formulazione fa eco a quella sulle molestie tout court, ma specifica che i comportamenti indesiderati da considerarsi alla stregua di discriminazioni devono avere una connotazione sessuale. Tali comportanti possono esprimersi, stando al testo della legge, in tre forme/modalità:

  • fisica
  • verbale
  • non verbale

Come già osservato riguardo le molestie, anche le molestie sessuali devono avere lo scopo oppure l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

Esistono anche discriminazioni multiple

Mentre le “molestie” possono essere basate sul sesso, sulla razza o l’origine etnica, così come su disabilità, età, religione o convinzioni personali e orientamento sessuale, quando si tratti di “molestie sessuali” il c. 2 dell’art. 26 sembrerebbe riferirsi unicamente a molestie “per ragioni connesse al sesso”. Nulla però escluderebbe che una molestia sessuale possa essere attuata per ragioni connesse a uno degli altri fattori protetti, oppure ad una combinazione degli stessi. Ci troviamo allora nel campo della discriminazione multipla o intersezionale, che fa riferimento a una pluralità, o a una combinazione, di fattori di discriminazione.

Verso l’affermazione di un principio generale

A parere di chi scrive la disciplina contro le molestie sessuali non deve essere intesa a tutela esclusiva di un particolare sesso. Allo stesso modo, la tutela contro le discriminazioni non va intesa a tutela di una particolare minoranza.

Entrambe le tutele sono, infatti, espressione di un principio generale: il principio di parità di trattamento. Bene tutelato è la dignità di lavoratrici e lavoratori. Scopo della norma è evitare climi di lavoro intimidatori, ostili, degradanti, umilianti o offensivi, in ragione di uno, più di uno, o di una combinazione di fattori protetti. Per esempio, un giovane lavapiatti di origine straniera, magari dal portamento giudicato non sufficientemente macho, potrebbe essere fatto oggetto di molestie, anche sessuali, e ritrovarsi a vivere un clima degradante e umiliante; ciò in ragione della sua età, della sua nazionalità, della sua origine etnica, del supposto orientamento sessuale; per più di uno di questi fattori, o per una loro inscindibile combinazione.

In quanto espressione di un principio generale, senza ulteriori specificazioni di carattere soggettivo, di tale diritto devono godere tutti, donne e uomini, cittadini e non cittadini, etero e omosessuali, a maggior ragione quando si tratti di invocare la tutela contro le molestie sessuali.

Le uniche deroghe ammesse sono quelle relative alle azioni positive, alle caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa, le soluzioni ragionevoli per i disabili e le differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari.

Avv. Matteo Bonini Baraldi

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