Superamento del comporto di lavoratore con disabilità

La malattia per patologie invalidanti non rientra nel comporto
Lavoro | Anti-Discriminazione

La malattia causata dalla patologia invalidante non può essere computata nel periodo di comporto

Nei casi di superamento del comporto da parte di un lavoratore con disabilità, i giorni di malattia dovuti a patologie invalidanti non possono essere conteggiati.

Massimo (nome di fantasia) è affetto da una patologia psichica (sindrome ansioso depressiva) ed è particolarmente esposto a episodi di malattia. A causa di tale patologia gli è stata certificata una invalidità del 46%.

Tale percentuale di invalidità gli assicura l’iscrizione alle liste di collocamento obbligatorio, ma non altre misure (permessi, congedo per cure o aspettativa). Le altre misure vengono riconosciute a persone con invalidità superiore o ad specifiche categorie di lavori in difficoltà (tossico-dipendenti, alcolizzati o portatori di malattie oncologiche).

Massimo è assunto come dipendente in un Istituto clinico milanese.

Nei periodi nei quali la sua patologia si manifesta Massio è costretto a restare a casa e fruire di giorni di malattia retribuiti come da CCNL.

Le sue patologie certificate lo mettono a dura prova e i giorni di malattia, anche se scaglionati, cominciando ad essere tanti. Superano i limiti previsti dal suo contratto quale periodo di comporto (il numero massimo di giorni di malattia in cui un lavoratore ha diritto alla conservazione del posto).

Secondo l’Istituto presso cui Massimo lavora, un licenziamento per malattia, anche di un portatore di handicap, non è direttamente discriminatorio.

Le leggi sulla disabilità e la malattia.

La direttiva 2000/78/CE quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro rammenta come “la messa a punto di misure per tener conto dei bisogni dei disabili sul luogo di lavoro [abbia] un ruolo importante nel combattere la discriminazione basata sull’handicap”.

La Corte di Giustizia ha chiarito che “la nozione di “handicap” va intesa come un limite che deriva…da minorazioni fisiche, mentali psichiche e che ostacola la partecipazione della personaalla vita professionale“.

Utilizzando la nozione di “handicap” il legislatore ha volutamente distinto tale termine da quello di “malattia”: la prima fa riferimento a una limitazione di lunga durata che incide e ostacola la vita della persona per un lungo periodo.

Ciò detto, la malattia dovuta all’handicap non può essere computata al pari delle altre, diventando altrimenti causa del licenziamento. Pertanto, ai fini della maturazione del comporto del dipendente con disabilità, il computo delle assenze per malattia connesse alla condizione di disabilità, costituisce una discriminazione indiretta.

Superamento del comporto di lavoratore con disabilità: la malattia per patologie invalidanti non rientra nel computo

Sussiste una discriminazione indiretta quando una prassi apparentemente neutra, mette in posizione di svantaggio una persona portatore di handicap rispetto alle altre persone.

La norma di CCNL che quantifica in 18 mesi i giorni di assenza ai fini del comporto non può applicarsi ai lavoratori portatori di handicap. Essi sono infatti naturalmente esposti a episodi di malattia di gran lunga superiori rispetto ad un lavoratore non affetto da patologie invalidanti.

L’indebita parificazione di situazioni differenti, senza tener conto degli elementi di svantaggio connaturali all’handicap, violerebbe “il principio di uguaglianza” e darebbe luogo a una “discriminazione indiretta”.

I giorni di malattia fruiti a causa delle patologie invalidanti sofferte dal lavoratore non possono essere calcolati nel periodo di comporto, ma devono essere scomputati.

L’azienda ha sostenuto che nessuna norma impone alla stessa di applicare un diverso periodo di comporto al lavoratore in condizioni di disabilità.

L’applicazione di un termine di comporto indifferenziato è inappropriata anche per contrastare l’assenteismo.

Non contrasta l’assenteismo del personale normodotato (che è comunque soggetto al termine fisso contrattuale); men che meno limita l’assenteismo del personale con disabilità a meno di ritenere in modo pregiudiziale, e quindi discriminatorio, che la loro maggiore morbilità sia motivata da altri fattori non correlati alla loro patologia.

Il Giudice ha chiarito che la malattia per patologie invalidanti non rientra nel comporto. Massimo, vinta la sua battaglia, ha ottenuto la reintegra nel proprio posto di lavoro e può mantenere ancora oggi la sua meravigliosa famiglia.

Se vuoi conoscere il provvedimento nel dettaglio richiedi attraverso la nostra pagina Contatti il provvedimento giudiziario D3a (Tribunale di Milano, sentenza n. 487/2020 del 25/02/2020  – R.G. 8115/2019).