Inseminazione in vitro: licenziata

Inseminazione in vitro
Genere | Anti-Discriminazione

E’ illegittimo licenziare una lavoratrice solo perchè ha comunicato l’intenzione di sottoporsi a inseminazione artificiale

Vuole fare l’inseminazione in vitro: la lavoratrice viene licenziata.

Nel Settembre del 2005, Ennia (nome di fantasia) viene licenziata dallo studio professionale per il quale ha lavorato per oltre un decennio.

Nel 2007 chiede con ricorso la reintegra per illegittimità del licenziamento in quanto determinato da un motivo illecito e/o discriminatorio.

Il Tribunale dichiara però illegittimo il licenziamento per problemi formali e condanna l’azienda alla sola indennità risarcitoria. Respinge però la contestazione di discriminazione mossa dalla lavoratrice e quindi non ordina la reintegra nel posto di lavoro.

La scelta di andare in Appello

La lavoratrice decide di opporsi in appello chiedendo il totale accoglimento delle domande (nullità del licenziamento discriminatorio e reintegra).

Nel 2012 la Corte di Appello dichiara la nullità del licenziamento discriminatorio in quanto conseguenza pregiudizievole della scelta di procreare, sottoponendosi a pratiche di inseminazione artificiale.

Ordina la reintegrazione della ricorrente alle sue mansioni e condanna il datore al pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegra (oltre ai contributi).

Ricorso in Cassazione

Il datore di Lavoro ricorre per Cassazione.

Nel difendersi, l’azienda evidenzia come la lettera di licenziamento menzionasse non la scelta di procreare, ma solo le ricadute negative di eventuali assenze sulla funzionalità dello studio (motivo economico).

Secondo la difesa non poteva sussistere un motivo discriminatorio a fronte dell’utilizzo delle ferie per malattia a titolo di “prevenzione”.

La Corte di Appello dichiara invece il licenziamento discriminatorio per ragioni di genere in ragione del nesso pregiudizievole tra il licenziamento e i motivi legati all’inseminazione… condotta tipica della donna.

La discriminazione si ha in quanto la scelta del licenziamento è sostanzialmente basata su ragioni connesse al sesso della lavoratrice. Un uomo, che non procrea e non ha diritto agli stessi congedi, avrebbe conservato il posto.

A nulla sono valse le disquisizioni sul motivo del danno economico che le assenze avrebbero generato sullo studio come reale fondamento del licenziamento. Questo non basta ad escluderne l’illegittimità.

Un licenziamento determinato da ragioni discriminatorie è nullo indipendentemente dalla motivazione che ne sta alla base.

La discriminazione opera in ragione del mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore quale effetto della sua appartenenza alla categoria protetta; ciò a prescindere dalla volontà del suo datore di lavoro.

Se vuoi conoscere il provvedimento nel dettaglio richiedi attraverso la nostra pagina Contatti la Sentenza G1a (Corte Suprema di Cassazione – Sezione Lavoro – n. 6575 del 05/04/2016).