No al rinnovo del contratto perché omosessuale

No a insegnante gay
Orientamento sessuale | Anti-Discriminazione

Non rinnovano il contratto a un insegnante perché non accetta di dare spiegazioni sul proprio orientamento sessuale o negare di essere omosessuale: è condotta discriminatoria.

No al rinnovo del contratto perché omosessuale.

Cristina (nome di fantasia), insegnante dipendente di un Istituto di ispirazione religiosa cattolica, viene convocata nel luglio del 2014 dalla madre superiora per il rinnovo del contratto di lavoro a tempo determinato relativo all’anno scolastico in corso.

Durante l’incontro la religiosa non parla di questioni professionali, bensì chiede a Cristina di dare spiegazioni circa la sua relazione di convivenza affettiva con un’altra donna.

In particolare, la Dirigente le chiede di negare che la convivenza di Cristina corrisponda anche a una unione sentimentale.

La convivenza di Cristina è oggetto di chiacchiere all’interno dell’organizzazione e ciò, secondo la madre superiore, lede l’immagine dell’Istituto privato.

La responsabile dell’Istituto, che nulla ha da appuntare alla lavoratrice per le prestazioni professionali svolte, chiede quindi a quest’ultima di impegnarsi a risolvere il problema rappresentato dalla sua presunta omosessualità.

La risposta di Cristina: il mio orientamento sessuale nulla ha a che fare con il mio lavoro

Al rifiuto di Cristina di dare spiegazioni su elementi della sua vita privata, la suora dichiara serie difficoltà – come dirigente dell’Istituto – a rinnovare il contratto.

Precisa però che sarebbe disponibile a chiudere un occhio se Cristina si fosse  impegnata a risolvere il problema.

Per la superiora “risolvere il problema” alludeva al fatto che l’omosessualità “è un problema, una malattia o comunque qualcosa che vi è la necessità di curare”.

A quel punto Cristina replica che non avrebbe mai e poi mai risposto alla domanda, anche a costo di perdere il posto di lavoro.

E’ un suo diritto mantenere la privacy circa la propria vita privata, che non deve essere oggetto di valutazioni da parte di alcun datore di lavoro.

A seguito di tale risposta, l’Istituto decide di non rinnovare il contratto di docenza (a differenza di quanto accaduto negli anni precedenti), né la assume a tempo indeterminato nonostante l’acquisizione dell’abilitazione.

Nella sostanza non rinnovano il contratto all’insegnante perché omosessuale.

La vicenda arriva alla stampa e Cristina decide di non subire tale ingiustizia

La polemica mediatica richiama l’attenzione sull’operato dell’Istituto. La madre superiora non smentisce la sua decisione e, anzi, si fa forza del fatto di avere ricevuto telefonate di approvazione anche da parte di alcuni genitori. Inoltre si giustifica affermando di non aver affatto “cacciato” l’insegnante: semplicemente il suo contratto era scaduto.

Alla luce delle rispettive dichiarazioni appare evidente che il punto centrale del colloquio sia stato quello dell’orientamento sessuale dell’insegnante.

Non costituiscono atti di discriminazione le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell’ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività.

Ma l’orientamento sessuale di un’insegnante è certamente estraneo alla tendenza ideologica dell’Istituto.

La valutazione della condotta discriminatoria sul rinnovo del contratto

Deve dunque affermarsi che la ricorrente ha subito una condotta discriminatoria tanto nella valutazione di professionalità, quanto nella lesione all’onore.

Nessun dubbio può sorgere, circa il fatto che il colloquio avesse ad oggetto una possibile conferma dell’incarico di insegnamento per l’anno seguente (non si comprenderebbe altrimenti la ragione per cui, a fronte di un contratto scaduto, la Dirigente avrebbe convocato l’insegnante al colloquio).

Parimenti è incontestabile che il discrimine tra rinnovo e allontanamento sia consistito nel rifiuto di prendere le distanze dalle voci circa l’omosessualità dell’insegnante.

Inoltre, l’ampia risonanza mediatica della vicenda ha certamente leso la ricorrente, la quale ha dovuto prendere pubblica posizione a difesa del diritto costituzionale di libera espressione della sua identità sessuale.

La condotta posta in essere dall’Istituto – e, in particolare, le dichiarazioni rese ai media – ha colpito non solo la ricorrente, ma ogni lavoratore potenzialmente interessato all’assunzione presso l’Istituto.

L’effetto discriminatorio di una condotta va valutato in relazione al pregiudizio, anche soltanto potenziale, che una categoria di soggetti potrebbe subire – in termini di svantaggio o di maggiore difficoltà, rispetto ad altri non facenti parte di quella categoria – nel reperire un bene della vita quale è anche l’occupazione.

Il Giudice del Lavoro pertanto accoglie il ricorso, accerta la condotta discriminatoria e condanna l’Istituto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.

Se vuoi conoscere il provvedimento nel dettaglio richiedi attraverso la nostra pagina Contatti il provvedimento giudiziario OS1a (Tribunale di Rovereto, ordinanza del 21/06/2016).