Discriminazione sindacale low cost

Discriminazione compagnia low cost
Convinzioni personali | Anti-Discriminazione

E’ discriminatorio vietare ai dipendenti di partecipare alla costituzione di sindacati e aderire ad essi per la difesa dei propri interessi.

Discriminazione sindacale: una nota compagnia aerea europea low cost da anni rifiuta l’instaurazione di relazioni sindacali sia su base italiana che nell’Unione Europea.

Nei contratti stipulati con i dipendenti impone inoltre, con un regolamento interno, la penalizzazione di ogni forma di rivendicazione sindacale.

Un’associazione sindacale italiana rileva questo fattore come discriminatorio.

Le Compagnia Low Cost viene portata in Tribunale dal sindacato.

La legge italiana attribuisce alle organizzazioni sindacali la legittimazione ad agire “nei casi di discriminazione collettiva qualora non siano individuabili in modo diretto e immediato le persone lese dalla discriminazione” (art. 5, comma 2, d.lgs. 216/03).

Nello specifico il sindacato denuncia una “clausola risolutiva”, che la compagnia fa sottoscrivere al momento dell’assunzione, secondo la quale il rapporto sarebbe destinato a risolversi in caso di sindacalizzazione.

Significa che molte persone, apertamente aderenti al sindacato, potrebbero astenersi dall’inviare la propria candidatura alla compagnia, avendo la certezza che questa non sarà probabilmente presa in considerazione. La compagnia infatti non nasconde, la sua volontà di preferire una negoziazione diretta con i lavoratori, non mediata dai sindacati.

Il dibattito in Tribunale sulla discriminazione

La compagnia sostiene che avendo sede legale e giuridica in uno stato Europeo diverso da quello delle associazioni sindacali, esiste l’inammissibilità di procedere all’azione.

Sostiene anche che il proprio contratto con i dipendenti, ancorché non sottoscritto dai sindacati, sia stato ritenuto valido dalla Suprema Corte del proprio paese di origine.

Premesso che la giurisdizione italiana in base all’art. 7 n. 2 del regolamento CE 1215/12 dice che: “una persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro (…) davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire”.

Dice anche secondo l’art. 4, 1° comma che: “le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro cittadinanza, davanti alle autorità giurisdizionali di tale Stato membro”.

Secondo la normativa vigente e, in particolare, il diritto antidiscriminatorio per i casi di discriminazione “…è competente il tribunale del luogo in cui il ricorrente ha il domicilio”.

La giurisdizione dell’autorità italiana è dunque idonea a produrre i suoi effetti nel territorio italiano.

Alcuni precedenti

La compagnia aerea non è nuova a scioperi dei propri dipendenti. Già negli anni precedenti, numerosi piloti si sono fermati per protestare contro le condizioni orarie di lavoro in cabina.

La compagnia non ha neanche mai nascosto la propria posizione sul fatto che nessun sindacato a loro dire entrerà mai all’interno della compagnia.

In una situazione simile la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto la violazione dell’art. 11 della convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Tale testo prevede che: “ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica ed alla libertà di associazione, ivi compreso il diritto di partecipare alla costituzione di sindacati e di aderire ad essi per la difesa dei propri interessi” (comma 1).

“L’esercizio di questi diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge” (sentenza 2.7.2002 nei ricorsi 30668/96 e 30678/96).

La giurisprudenza comunitaria ha fornito un’interpretazione evolutiva dell’articolo 11, arrivando a ricomprendervi il diritto a non subire discriminazioni in ragione della propria appartenenza sindacale.

Ragion per cui nel concetto di «convinzioni personali» vanno incluse le opinioni e l’appartenenza sindacale.

Il provvedimento giudiziario

Il Giudice, una volta accertata la discriminazione, deve rimuovere la discriminazione e ripristinare la parità di trattamento (v. art. 9 Direttiva CE 43/00 e art. 11 direttiva CE 78/00).

Per quanto riguarda la tutela e le sanzioni applicabili, va evidenziato come, per le modalità attraverso le quali la discriminazione è stata attuata, l’ambito di intervento è assai limitato.

Non è possibile, come richiesto dall’associazione sindacale ordinare la cancellazione della “clausola di estinzione” dal contratto, in quanto sarebbe nulla ove al rapporto di lavoro fosse applicabile il diritto italiano.

Nessuna delle parti, neppure l’organizzazione sindacale, ha prodotto un contratto individuale di lavoro del personale di cabina per cui non è possibile stabilire se tali rapporti siano soggetti al diritto italiano o a quello di origine.

In  questo  contesto  è  evidentemente  impossibile emettere l’ordine di cancellazione richiesto dalle associazioni sindacali.

L’unica concreta modalità attraverso la quale è possibile la rimozione della condotta discriminatoria è quella di dare adeguata pubblicità al provvedimento, anche in considerazione dell’eco che i fatti hanno avuto.

Pertanto, il Tribunale ordina alla convenuta la pubblicazione, a sue spese, di un estratto del provvedimento, in formato idoneo a garantirne adeguata pubblicità sulle maggiori testate nazionali.

Autorizza l’associazione ricorrente, in caso di inottemperanza, a provvedere direttamente alla pubblicazione, con diritto di rivalsa nei confronti della convenuta per le spese sostenute.

Se vuoi conoscere il provvedimento nel dettaglio richiedi attraverso la nostra pagina Contatti il provvedimento giudiziario CP1a (Tribunale di Bergamo, sezione lavoro, ord. del 28/03/2018).